SULLE DIFFERENZE TRA FILM E DIARIO DEL FILM di Lucia Tambaro

- Categoria: Presente

Durante il weekend di formazione siamo stati informati dello psicodramma filmico, di cui il nostro direttore, Ottavio Rosati, è stato protagonista, con la produzione del docu-film “La Moda Proibita”, un vero inno alla figura di Roberto Capucci, stilista e “couturier-scultore”. Che dire? Ottavio ci aveva già accennato qualcosa su questa produzione, sulla fatica e sui tanti ostacoli che ha incontrato, ma sentire con la sua voce  ciò che leggeva, è stato come ricevere uno schiaffo violento, degno del carico emotivo che mi ha travolto. La risonanza delle parole di Ottavio è arrivata chiara, forte e intrisa delle emozioni di quel momento.

seta capucci

All'ultimo piano del suo studio, con la luce del sole che andava affievolendosi, i nostri silenzi pesanti, ho seguito la sua voce che ci faceva da culla, notandone ogni cambiamento d'intonazione, d'intensità e quel luccichio negli occhi, che fulgeva nella stanza in penombra, nel leggere ogni parola, come se stesse rivivendo proprio in quell'istante tutti quei momenti passati. A fine lettura Ottavio ci ha chiesto delle considerazioni, o meglio, delle migliorie su quanto scritto, e lì per lì ciò che ho fatto è stato accodarmi agli altri nel suggerire di lavorare su qualche concetto un po’ più artificioso, creare una scansione temporale e lineare degli eventi o eliminare qualche episodio che non sembrava propriamente attinente. Scrivo lì per lì perché ho voluto poi prendermi uno spazio e un tempo mio per rileggere il suo scritto con calma. A una lettura più attenta e concentrata posso dire certamente che adesso non farei cambiare nulla di tutto il lavoro. Come aveva asserito Ottavio, l'elaborato sulla Moda Proibita rappresenta il suo atto psicodrammatico e io non posso che essere pienamente d'accordo. I pensieri, le scene, le immagini descritte (l'immaginazione attiva con Teto),  i battibecchi con Francesco, tutto rappresenta  il vissuto di Ottavio, la ricostruzione di una scena che molto probabilmente non lo ha mai lasciato e che aveva bisogno di essere rimessa in discussione.

Il giorno dopo la lettura, Ottavio ci ha mostrato il docu-film, chiedendoci, a fine visione, dei pareri rispetto a quanto avevamo ascoltato il giorno prima. Ognuno ha detto la sua e quando è arrivato il mio turno, io, guardandolo dritto negli occhi e, senza pensarci due volte, ho esclamato: “non c'è nulla di quello che abbiamo ascoltato ieri”. La sua risposta alle mie parole è stata “beh, è certo” avvalorando l' idea che mi ero fatta fin dall'inizio: la scrittura è anche riscatto, la scrittura è psicodramma. Ciò che ho sentito in quelle parole è stato senso di rivalsa, possibilità di dare voce e luce a un lavoro tanto prezioso e avere un proprio riconoscimento, il riconoscimento di chi come lui, e tanti altri insieme a lui come Francesco (Fresco), ha faticato tanto. Il docu-film, in effetti, non è nulla di tutto ciò. È un inno ai colori, caldi, accesi e affascinanti, che il genio di Capucci ha reso possibile; è la storia di un uomo che ha fatto dell'eleganza il suo biglietto da visita. Con i suoi disegni, che un po’ mi hanno ricordato qualcosa di esoterico, Capucci rende i suoi modelli veri e propri esseri eterei. Durante la visione del docu-film, siamo stati catapultati in magici paesaggi verdi, costellati da manichini svolazzanti, avvolti da abiti sfavillanti. Sembrava essere protagonisti di un mondo fantasy, un po’ Fantaghirò, un po’ Merlin, un po’ Edward Mani di forbice per le atmosfere suggestive dei paesaggi. Il docu-film de “La Moda Proibita” è Roberto Capucci, il testo che lo riguarda è Ottavio Rosati. Ottavio aveva bisogno di mettere sullo schermo una persona che incarnasse il suo essere originale, sfavillante, creativo, carismatico. Aveva bisogno che questa parte di lui uscisse fuori in qualche modo e l'ha proiettata in mondovisione attraverso la persona di Capucci e l'ha fatto, l'ha fatto sudando tutte le sue eccentriche camicie e uscendo da ogni impervio possibile. Però, forse, così facendo, tutta la fatica è rimasta in disparte, l'affacendarsi dimenticato, il riconoscimento sopito: “Caro Ottavio, ho visto l’inizio del tuo documentario "Le code le Ali" sulla mia mostra alla Venaria Reale. Sono rimasto entusiasta dell’energia che hai messo in questo video. Svelto, giovane, veloce e interessante. Quanta fantasia e immaginazione!  Andiamo Avanti e mettiamo tutto questo nel film. Un abbraccio affettuoso.”  

venaria

Riconoscimento, è questo che ho intravisto in quelle righe, un grido forte che portasse in rivalsa il proprio lavoro e forse non solo il suo. Ottavio ci ha fatto protagonisti, durante la chiacchierata post visione, dell'episodio sulla richiesta da parte sua a Capucci, di fare un disegno anche a Francesco, disegno che non è mai arrivato. Mentre lo raccontava, ho visto i suoi occhi, e chissà forse mi sbaglio, adombrarsi. Ottavio non saprà mai perché Capucci non ha fatto quel disegno a Francesco, e forse Francesco neanche lo voleva, ma per lui quel disegno rappresentava ben altro. Io, personalmente, ci ho visto la riconoscenza e il bene che Ottavio prova nei confronti di Francesco, il voler vedere anche la sua persona riconosciuta delle sue capacità. Un atto, oserei dire, quasi paterno. Tutto ciò è venuto a mancare e forse sta proprio qui il gap, quel tarlo che scava, scava, fino a creare un solco profondo e che fa scorrere fuori il maremoto di emozioni che ognuno di noi cela. L'articolo sulla Moda Proibita è un vero atto di riscatto e la scrittura, come la parola, può essere un'arma potentissima con il quale farlo. Quando Ottavio ci ha chiesto cosa avessimo imparato, semmai avessimo imparato qualcosa, da quella lezione, la mia risposta fu immediata “che se c'è bisogno di ristrutturare qualcosa che per noi non va bene in quel momento, possiamo farlo e dobbiamo farlo”. D'altronde non è lo scopo dello psicodramma?

Condividi

Aggiungi un commento

  • Registrare

Nuovo Registro conti

Hai già un account?
Entra invece O Resetta la password