Domani è il primo maggio.
Non ho tempo per portare le due cocker a spasso; mi limito a fargli fare quel che devono, nel giardino condominiale tenendole col guinzaglio per evitare che corrano e si lascino andare davanti alla casa dell'avvocato Ugo De Ciccis che prima della pandemi sorrideva sempre a tutti e ora no. Ora si infuria anche se poi pulisco e mi ha minacciato: Se una volta le trovo, giuro che gli faccio del male...
Non capisce che vanno da lui perché sua moglie cucina benissimo e loro sentono i profumi.
Eccomi qua, chino sul prato su Winnie e Duffy a smanettare coi sacchetti, quando De Ciccis rientra a casa con la ua borsa nera di cuoio.
"Ciao Ugo," dico con voce amichevole,
Lui lancia uno sguardo cattivo e sibila Vaffanculo.
Lo dice in grigio antracite.
"Ma che ti succede? Sei sempre stato un uomo spiritoso..."
"Vaffanculo."
Ora l'ha detto in nero.
Le cocker alzano la testa e mi guardano disorientate: che abbiamo fatto?
"Loro sono cani," dico. "Tu no."
"Tu sì!"
"Io lavoro su ruoli e giochi. Non difendo criminali a pagamento."
Detto così, per la legge, non dovrebe essere un insulto. Spero.
De Ciccis non risponde. Entra e sbatte la porta.
E' proprio arrabbiato.
Quando mi hanno ricoverato col Covid a Tor Vergata per una settimana, ha detto a una mia paziente che ero morto e lei c'è rimasta di merda: "Ero così stordita, dottore, che Le ho telefonato per farLe le condoglianze."
Non voglio vivere in un campo morfogenetico così. Stanotte passo davanti a casa sua in punta di piedi e faccio cadere due tre caramelle al miele. L'ho fatto tre anni fa con l'ordine degli psicologi quando mi dovevano fare un processo e poi mi hanno assolto.
Funziona.