IN BUONA FEDEZ? di Ottavio Rosati

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Devo alla mia amica Vanessa Rusci, fotografa d’arte ed esperta di social media la segnalazione di uno dei tanti avvenimenti della televisione e di Internet che rientrano nella storia del nostro attuale costume, anzi la fanno: Hai visto la dichiarazione di Fedez in televisione a favore della legge contro l’omofobia e la gender fobia? E contro i dirigenti della Rai che volevano imporgli una censura? Non si parla d’altro. Lui ha difeso la legge a favore dei gay… so che a te lui e la moglie non piacciono ma stavolta è stato bravo e coraggioso. Vorrei un tuo parere. Guardala subito su Internet. Poi chiamami. Vedrai che è uno psicodramma.

Vado anzi corro su YouTube, vedo il video in questione ma non vedo nessuno psicodramma. Però vedo uno show di indubbia efficacia: quello che ci vuole per scuotere l'attenzione degli italiani. 

A differenza di Platinette, sono totalmente a favore del Ddl Zan e contro Salvini e la sua ciurma di sciagurati borsaioli destrimani. Però esco dal coro che alza inni a F. marito di una influencer di povera gente con poche letture e molti soldi da passare a lei. E mi domando: chi dei due coniugi, nella sacra famiglia con bambinello, è il generale Peron e chi Evita?

Quel che mi colpisce è che F. indossa un cappello nero da pischello con visierona anti sole e logo della fabbrica. Siamo su un set da concertone pop dove predomina il nero: il copricapo fa ombra, mostra il logo e impalla gli occhi sotto la visiera. Che poi finalmente si vedono. Ce li ha. 
La protesta di F. contro la censura Rai ovviamente è giusta ma conquista una parte del mio raziocinio non del mio cuore. Un conto è il testo, un conto è l'attore. Come regista e come psicodrammatista dò più importanza ai lapsus e al linguaggio del corpo dell'attore. 
Anche il fiuto inconscio di alcuni spettatori istintivamente avrà preso le distanze dall'inc di F. narratore che forse non è vero inc ma preconscio o pura coscienza di cavalcare la causa giusta nel più conveniente dei modi. Il cappellino si rivolge all'emisfero destro mentre il suo indossatore parla al sinistro. F. sembra ansioso di far bene il suo pezzo. Sto piacendo? Piacerò? Pensiamo a un'attrice e autrice di grande talento come Emanuela Fanelli, la nuova Franca Valeri. Lei non ride mai delle sue battute, perciò il pubblico ride tanto. Invece F. si compiace del suo sdegno. E una parte (ovviamente minore) del pubblico resta freddo.

F., che in passato si è espresso contro il mondo gay, nel concertone cavalca due ruoli in uno. Quello del matrimonio gli compete in quanto marito della bottegara super-pop e in questo non è autorevole ma eterevole. Ma non gli basta. Vuole conquistare anche il cuore gay. Con lui il De profundis di Oscar Wilde non sale per le scale ma prende un ascensore velocissimo. E arriva in alto fino al cappellino della Nike. Non paga. Guadagna.

Parlo dell'intera faccenda con Elena, giovane tirocinante della scuola che sa come sono andate le cose, più di me e tira fuori, per definire la moglie di F., la parola influencer. Sembra che gli influencer oggi iniziano a rivendicare un loro statuto professionale richiedendo di essere tutelati come ogni lavoratore. Quando dico che in fondo potrebbero essere definiti come psicologi della comunicazione (in senso pratico non teorico, clinico) lei ne resta quasi addolorata. Elena non è ingenua; sa bene cosa si nasconde dietro una campagna pubblicitaria ma qualcosa in lei, dalle parti del cuore, si rifiuta di accettare per gli influencer la definizione di psicologo della comunicazione.
Vuol dire che c'è ancora spazio per la dignità della psicologia e speranza per un futuro con meno manipolazioni ma più mindfulness e cultura.



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