LE QUATTRO FERNANDE DI OTTAVIO ROSATI

- Categoria: Futuro

Se ne La Moda proibita, il film su Roberto Capucci, c’è un filo nascosto, In Generazioni d‘amore, di fili nascosti, ce ne sono 4. Come le 4 Americhe di scrittori narrate e introdotte in Italia da Fernanda Pivano. E come le quattro Fernande Pivano, diversamente abilissime, che ho conosciuto dal 1973 al 2001 e che ho raccontato nell'ipertesto Quattro decenni di Plays per il Teatro del Tempo con la Pivano e Marie-Louise von Franz.



Il primo filo segreto è giallo e lega la maggior parte dei suoi autori che, da Ginsberg a Faulkner a Bukowsky scrivono di se stessi, bevono e fanno più sesso possibile. Al contrario di lei che (ufficialmente) è astemia, non fa sesso con nessuno e non ha bisogno dell’amore di nessuno a parte il marito Ettore Sottsass che l’ha tradita con una giovane allieva: la puttana di Barcellona. I libri sono i soli amanti ufficiali di Fernanda e nei suoi libri Pivano non scrive di amanti né di amori suoi.
Come dissero Aldo Carotenuto e Lawrence Ferlinghetti, la regina di Beat non fu mai una beat. Anzi. La sua ombra autobiografica è di non mostrare ombre né passioni. Solo patimenti..
Quando Nanda pubblica i due romanzi ambientati nel palazzo di Trastevere nasconde la ragione per cui vive lì dal 1973 al 2001 nella casa affiancata alla mia con grande traffico di conigli e pappagalli. Nel corso degli anni cresce la sua affiliazione ad Arpocrate, il dio del silenzio e dell'omissione. Nei suoi sogni compare Pinocchio e nei suoi Diari editi da Bompiani scompare il nome di chi l’ha portata alla Kasbah di Trastevere dove abbiamo vissuto, porta a porta, per quattro decenni. Nell’indice dei nomi, non si trovano quelli del padre, della madre di Nanda e di Ottavio. Le pagine del 2001 sul making di questo film non dice con chi l’ha fatto. L’ha fatto con qualcuno… in Toscana direbbero: Nel 2000 alla lungara ci si fece un film…



ponte Sisto

 


Il secondo filo nascosto è nero. È l’incontro tra la grande americanista abbandonata dal marito e Ottavio ventenne, innamorato di una donna meravigliosa che ha tutto ciò che lui avrebbe voluto trovare in sua madre. Questo filo spiega ciò che accadde quando Fernanda vide Generazioni d'amore al montaggio a Cinecittà e, di colpo, cambiò idea. Pianse di gioia, battè le mani ma ma lo accusò di essere un madrigale d’amore anziché un documentario. Poi fece di tutto per fermarlo, nonostante avesse firmato un contratto con la produttrice Grazia Volpi e il Centro Sperimentale di Cinematografia. Perché? Perché, come regista, davo un’immagine felice e mediterranea di una Pivano che a Roma (come disse a Fellini) non faceva la Dolce Vita ma una vita dolce, sì. E dolcezze e sorrisi davanti a un ragazzo bello come Lorenzo Perpignani, non fanno parte del ruolo di una moglie inconsolabile tradita da un marito egoista. Soprattutto se a documentarle c'è un direttore della fotografia come Mario Amura.

Il terzo filo nascosto è un filo da pesca preso dalla barca con cui Hemingway (che secondo lei amava gli animali) andava a caccia di tonni. È la lenza in fluoro carbonio con cui Fernanda tentò di strangolare il nostro figlio-film come una madre con la sindrome di Munchausen. Per questo la signora letteraria si affrettò a organizzare un documentario concorrente dove incarnava una donna malandata e triste che si aggirava nei cimiteri americani con una leggera zoppia, vestita di nero come una vedova inconsolabile e si inchinava davanti alla tomba di Hemingway mentre sullo sfondo, al posto del mio pappagallo Teto spuntava uno sciacallo. Tutto prodotto e girato di corsa, in modo da sostituire Genamore al Festival del Cinema di Torino, che però, grazie a Bernardo Bertolucci, alla fine mise in programma entrambi i documentari. Quando Fernanda cedette e annunciò che però avrebbe presentato solo il film di Procacci, mi chiese di non venire alla festa di Einaudi in suo onore e di tornare subito a Roma. Temeva che, per gelosia, avrei preso a pugni il regista e un altro figlio di papà milanese che erano entrati da poco nel suo catalogo di intimi frequentatori. 

isola tiberina



Per fortuna, c’è un terzo filo che non è né mio né suo. È un filo rosso come il fuoco, di Eros e luce che viene dall’inconscio collettivo. È la parte Anima Mariana (direbbero Jung e von Franz) di Fernanda legata alle generazioni d’amore, più forte dell’Animus della Pivano che la legava a Riccardo, il padre banchiere. Fu questo filo segretissimo di amore (fortemente inconscio e inconsciamente forte) che al Festival di Torino, non appena la Pivano mise piede sul tappeto rosso per presentare il film con lo sciacallo scatenò la sincronicità dell’incendio che bruciò la pellicola e fermò quella farsa. Una farsa per me traumatica, al punto che a Roma ero andato a dormire senza accorgermi che avevo lasciato aperto il gas in cucina. E l’incendio junghiano ex Machina, mai spiegato dai pompieri, bloccò tutto ed escluse dal festival il documentario che avrebbe dovuto escludere il nostro. Questo filo di amore dissociato e fatto di fuoco come Eros, per me fu la prova che Dio esiste: se non avessi avuto quel conforto di fiamme incazzate, oggi non sarei qui a parlarvi di Generazioni d’amore. E se non fossi tornato a Roma sarei stato inquisito per incendio doloso.

Campo de' fiori

 


Il quarto filo è blu. È il filo della lama del mio coltellino svizzero con cui stasera taglio definitivamente la lenza per pescare i tonni. La lama è un breve psicodramma del 2019, con le ragazze di un liceo romano, che stasera precederà la proiezione del documentario come l’ouverture de Il Pipistrello di Strauss. Visto che Vienna non è solo la città della principessa Sissy, della Sacher Torte e dei valzer ma la città della Sezession, di Freud e del Teatro della Spontaneità di Moreno. La città di cui Carl Kraus disse: Devo comunicare agli esteti qualcosa di rovinoso: un tempo la vecchia Vienna era nuova. 


Tagliata la lenza Munchausen, posso dire che, tutto sommato, la quarta Pivano, quella del trauma, mi colpì ma non mi distrusse e, nel corso degli anni, finì per creare nuove generazioni di amore. Causò lunghe ricerche psicoanalitiche sul trauma affettivo e nuove tecniche di terapia. Riattivò in me la pratica religiosa del Cristianesimo, come lo intendono Vito Mancuso e Carlo Maria Martini, e la meditazione. E ispirò nuovi esperimenti di psicodramma e nuovi film. Perché, come dice De Andrè, dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior.
Del mio concime ho detto abbastanza. Dei diamanti parla Fernanda stessa in una delle pagine e lettere d'amore di cui mi ha lasciato erede universale. E vorrei che a leggere questa pagina fosse Luciana Santioli, la mia allieve più cara:


Un vero trickster!
Ottavio mi commosse con regali sempre più raffinati, il primo nel 1978: un ciondolo di radice di agata che resta tra i miei ricordi più cari.
Una collana di murrine antiche che mi portò da Venezia nel 1980.
Una collana d'oro che comprò al museo di Bogotà, quando andò a tenere un sociodramma in Bolivia negli anni Novanta.
In una conferenza che fece in un'altra città, Medellin, gli studenti erano troppo poveri per pagarlo e lo compensarono con una scheggia di smeraldo. La pietra preziosa che mi accompagna sempre nella scatoletta di cinghiale dove conservo le mie mitiche spille di Gertrude Stein.

 

 

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