Su consiglio di Ottavio, che ritiene questo film paradigmatico di diverse dinamiche familiari distruttive, mi preparo alla visione di questo film su Roberto Baggio su Netflix. Di calcio non me ne intendo, lo faccio per amore della clinica…
La prima cosa che sorprende del film è il fatto che (finalmente) il calcio viene visto come un piacevole contorno per giustificare la vita del nostro Roberto. Ciò che abbiamo sotto gli occhi e che la regista Letizia Lamartire vuole sottolinearci è proprio il Baggio uomo e non l’ideale che molti italiani per anni hanno visto in tv seduti sul loro divano intenti a digerire il pranzo della domenica. La nota principale che colpisce e commuove, persino me, è il rapporto con suo padre. Baggio senior rappresenta un qualunque uomo italiano, sposato, con otto figli, lavoro e saldi principi e convinzioni. È evidente subito che in una famiglia normotica come la sua il talento di Roberto non solo non può essere apprezzato, ma soprattutto non può essere capito. In una scena quasi all’inizio del film, Roberto comunica a tavola che è stato acquistato dalla Fiorentina, salendo così in serie A. Il padre lo fissa e senza pause gli chiede quanti soldi daranno a lui, così da poter ripagare i danni che Roberto ha fatto da bambino con una pallonata che ha rotto i vetri dell'officina. E aggiunge: non penserai mica di essere migliore dei tuoi fratelli?
Cosa accade subito dopo? Non faccio spoiler perché la storia del campione è nota a tutti... Roberto si infortuna creandosi un pretesto per mettere a repentaglio il suo contratto con la squadra di Firenze. Durante il film questo accade ogni volta che a Baggio gli si presentano occasioni di rimonta e rivincita nella propria vita sportiva. La comunicazione del padre è piena di doppi legami, per dirla alla Bateson (da “Dovresti farti il culo in fabbrica come tuo fratello” a “Però! Sei in nazionale”). Il padre non riesce a rispecchiare mai il valore e la personalità il figlio (nel senso di Fonagy e Target) in maniera adeguata ma anzi, in tutti i risultati di Roberto, nota che manca sempre qualcosa. E ci sono infortuni “strategici” che non gli permettono di avanzare in carriera. Interessante il parallelismo fra l’immagine di Baggio bambino che fa gol rompendo una finestra e Baggio adulto che sbaglia lo storico rigore che non permise all’Italia di battere il Brasile nel ’94. Roberto compie una massiccia proiezione sull’allenatore Arrigo Sacchi che per molti versi ricorda molto suo padre: infatti il coach è concentrato sul fare bella figura davanti a tutto il mondo mentre Roberto “fa i capricci” rendendosi lagnoso, sbagliando il gioco in campo e infortunandosi di quando in quando. Nota bene: forse Sacchi non stava simpatico neanche a sua madre.
Dal canto suo, come osserva successivamente Mazzone (interpretato da Martufello), una parte di Roberto non tollera l’attenzione dell’allenatore verso gli altri compagni di squadra “fratelli” che tolgono attenzione a lui, così come accaduto in famiglia. E questo riusciamo ad intuirlo tutti. Ma è davvero tutto lì il problema di Roberto?
Potremmo dire che Baggio, almeno dal film, viene presentato come un ragazzo perennemente depresso, come se non capisse davvero quale sia il suo posto nel mondo. Viene mosso solo da un desiderio: rispettare la promessa fatta al padre all’età di tre anni di giocare contro il Brasile ai Mondiali di calcio e batterlo.
rte pIl padre alla fine confesserà che si trattava di una storia inventata e che il figlio non aveva mai fatto questo promessa. Ha creato in lui un falso ricordo. Baggio senior si giustificherà con “l’ho fatto per motivarti”. A questo punto, ho intuito che il carattere di Roberto e il suo umore un po’ spento dipendesse da questa falso ricordo: il padre l’ha sì motivato, ma Roberto avrebbe voluto davvero fare il calciatore per tutta la vita? D'altra parte è possibile che una parte inconscia del padre abbia creato questa bugia per invidia nei confronti del talento del figlio (Baggio senior ammetterà di aver smesso di fare ciclismo perché non aveva talento)? In entrambi i casi, la storia andò così come la conosciamo e quel rigore fu sbagliato. Ma non c’era niente di divino in quell’errore, solo molta umanità.