Scendo all’indirizzo giusto. L’ingresso è quello di una palestra: di lato, la parete a vetri fa guardare ma non toccare giovani dei e dee di campagna che si allenano con gli attrezzi. Dall’altro, due paretine coperte di loghi ognuna con due sgabelli, un mixer, un computer e due microfoni. La Radio c’è. Tra gente che va e viene, che parla e che si ascolta, una ragazza dai lunghi capelli neri e vestita come una promoter da centro commerciale, mi viene incontro:
“Ciao, tu chi sei? Sei venuto per l’intervista?”
“Sì, sono il dottor Francesco Marzano. Lo psicologo di Roma. Ci avete telefonato per un’intervista sullo psicodramma.”
Lei controlla velocemente la sua cartellina con gli appuntamenti.
“Sì, sì, alle 16. Può accomodarsi intanto e firmare le liberatorie? Gradisce un caffè?”
“Sono a posto, grazie. Magari un po’ d’acqua.”
“Non abbiamo acqua. Solo aranciata.”
“Aranciata per me va benissimo.”
Cerco con gli occhi sulla parete il logo dell’aranciata e lo trovo subito: la producono da queste parti ed è pure buona. Su un divanetto di pelle bianca davanti a un tavolinetto Ikea nero mi metto a riempire le mie scartoffie. In uno dei moduli mi chiedono di suggerire dei contatti di persone che conosco per farle intervistare. Le categorie sono tre: attività commerciali, liberi professionisti e band/cantanti. Penso subito a Michele e alla sua band di rock tenero (come lo definisco io); di commercianti non ne conosco e di liberi professionisti invece la lista è lunga. Penso alla mia paziente Elisa che è un’illustratrice bravissima, a Federico il mio amico filmmaker, poi c’è Beppe traduttore e interprete freelance. Ah! Aggiungo anche Andrea, il mio amico scrittore. L’intervista sarà trasmessa di notte, fascia oraria in cui mi dicono l’emittente ha più ascoltatori. Osservo le persone intorno a me. Sembra una mini-versione radio di Ginger e Fred di Fellini: le interviste si susseguono come se fossimo in una pizzeria. Le persone intervistate sono le pizze nel forno. Qualcuna però è un supplì o un crostino. In questo momento stanno intervistando due ragazzi bellocci ma per niente sexy. Sono vestiti come ad una sfilata Modamare a Positano: giacche su camicie aperte, abbronzati e con dei pantaloni talmente attillati da sembrare fuseaux, uno addirittura con dei risvoltini sopra la caviglia. Entrambi leccati e patinati, come se stessero posando per una copertina di un giornaletto di gossip. Alla fine dell’intervista fanno anche un selfie con la speaker rassegnata e sorridente. Chissà di cosa si occuperanno mai.
Le due ragazze accanto a me li guardano e ridacchiano.
“State ammirando lo stile di quei due ragazzi?” chiedo.
“Sì, stavamo parlando proprio di loro. Ma dove vanno così conciati? Oltretutto siamo alla radio.”
Non posso fare a meno di notare le unghie elaboratissime di una di loro.
“Voi siete qui per l’intervista? Di cosa vi occupate?”
“Ah noi abbiamo un centro estetico con solarium.”
“Complimenti.”
“Ci intervistano per questo.”
“Brave. Anche il corpo va curato, come l’anima. Io invece sono psicologo.”
“Figo! Ecco perché sembri così serio.”
“Tutta apparenza. In realtà sono un birbaccione.”
Ridono. Ora tocca a me. La mia speaker si chiama Gloria: lunghi capelli biondi raccolti da un lato; grandi occhi nocciola, anzi enormi. Sorride sempre. È simpatica, mi passa il microfono e le cuffie e smanetta sul mixer facendomi un segno di intesa col dito al momento della registrazione. “Buonasera ascoltatori di Radio Palla By Night, ci chiediamo sempre se facciamo bene o male qualcosa. Ci pensiamo tanto, il pensiero è importante. E la sua cura va affidata a persone competenti che se ne possono occupare.” A sentire che la psiche è diventata il pensiero, rischio di scoppiare a ridere ma confermo e approvo con la testa.
“A questo proposito abbiamo qui con noi il dottor Francesco Marzano, psicologo e pensate un po’ (pausa) psicodrammatista!”
“Ciao. Buongiorno.”
“Buonasera.”
“Buonasera.”
“Allora Francesco, raccontaci innanzitutto di come è nato il tuo amore per la psicologia e di dove lavori.”
“La mia passione per la psicologia nasce a tredici anni. Osservando soprattutto la mia famiglia, gli altri parenti, gli amici e tutte le persone che mi stavano intorno capii che il mio lavoro sarebbe stato questo.”
“Così piccolo?”
“Beh, sì. Anche se loro mi amavano, io non mi sentivo molto capito. Ma un giorno mio nonno materno (che passava per matto solo perché era un po’ artista e donnaiolo) mi regalò una cassetta con una commedia di Luisa Conte e Nino Taranto. Nella commedia, Taranto diceva che capiva tante cose perché aveva la PISICOLOGIA in testa. E la Conte, che faceva sua moglie, gli rispose che quella cosa le serviva pure a lei e che se la sarebbe presa, una volta morto il marito. Insomma come un’eredità che le spettava. Una scena esilarante. Quella parola mi incuriosì parecchio così corsi subito a cercarne sul dizionario il significato e scoprii che la Psicologia serviva anche a me, non solo alla Conte. Una volta cresciuto i miei studi sono andati in quella direzione. Mi sono appena specializzato come psicodrammatista a una Scuola di formazione in psicoterapia aperta a psicologi e medici con cui collaboro.”
“Uhhh! E quanto tempo ci hai messo?”
“Una decina d’anni, tra una cosa e l’altra.”
Approva con la testa.
“Eh sì, perché ricordiamoci che la psiche deve essere affidata solo a persone competenti. Bene, a questo proposito, vorrei che il nostro dottore ci spiegasse che cos’è lo psicodramma. Una parola poi che siamo spesso abituati a sentire sui giornali, in televisione…”
“Infatti il mio Maestro ha portato lo psicodramma in televisione. È una tecnica terapeutica davvero efficace e innovativa. Fu inventata negli anni Venti da un grande personaggio che era medico, poeta e filosofo: Jacob Levi Moreno, uno psichiatra di origini romene, naturalizzato poi americano. Il lavoro si svolge in gruppo e prevede una messa in scena e una rappresentazione.”
“È un vero teatro!”
“Direi che è una messa in scena senza copione. Fatta a soggetto, improvvisata, non su dei copioni ma sui vissuti, i traumi, i sogni del protagonista. Un gioco che viene favorito dal conduttore e dall’utilizzo del gruppo come Ego Ausiliari…”
“Cioè?”
“Ego Ausiliari vuol dire compagni del gruppo che, come attori, interpretano i vari ruoli scelti dal protagonista/paziente. Alla base c’è il gruppo come testimone della narrazione.”
“Il gruppo? Che gruppo? Vuoi dire gli altri pazienti?”
“Certo. Col gruppo il paziente può fare la sua catarsi e ristrutturare l’evento problematico, favorendone l’elaborazione e il superamento.”
“Molto, molto complesso.”
“Un po’.”
“Ci vuole una grande competenza.”
Sorrido. “Come alla radio. Sì. Alla fine il gruppo può anche condividere con il protagonista pensieri e vissuti comuni. Ci tengo ad aggiungere che il nostro Istituto ha introdotto in Italia il termine ‘psicoplay’ come sinonimo della parola ‘psicodramma’, che è un po’ pesante e può creare equivoci col dramma inteso come tragedia.”
Al suono di “psicoplay” Gloria sgrana gli occhi. “Wow!” dice. ”Sì, sì. Psicoplay è molto più carino di psicodramma.”
“E già.”
“Sembrerebbe davvero molto interessante.”
“Lo è.”
“E le persone del gruppo si conoscono?”
Mica sciocca come domanda. Non me l’aspettavo. Si vede che ho catturato la sua attenzione. Mi ascolta con piacere e non per lavoro.
Come mai m’importa così tanto che si interessi a quello che dico?
“Quasi mai. Se i gruppi sono reali, nel senso che le persone si conoscono, allora lo chiamiamo sociodramma…”
“Ah già”, dice lei di corsa per allontanare la spinosa distinzione che nemmeno all’Università è chiara a tutti. Faccio un colpetto di tosse come stacco. Gloria sorride, grata.
“E tu che sei così giovane con che pazienti lavori?”
“Con quelli che mi piacciono. Sennò non funziono bene.”
“Ci hanno detto al telefono che hai inventato un nuovo tipo di psicodramma collegato al cinema. Di che si tratta?”
“Non esageriamo. All’interno di una rassegna cinematografica di film inediti a tematica GLBT promossa da un amico…”
“GLBT?” “Gay, Lesbian, Bisex e Trans.”
Gloria fa un grosso respiro e sorride.
“Io ho inserito per la prima volta lo psicoplay con il pubblico, sia sulle tematiche emerse dal film sia da quelle personali.”
“Sei il primo in Italia ad averlo fatto. O no?”
“Forse si… Comunque ne ho fatto la mia tesi di specializzazione.”
“E ha avuto molti ostacoli, immagino. L’area GLBT non è un argomento un po’ soggetto a critiche?”
“Qualche ostacolo, ma è normale per un’impresa un po’ eroica, e poche critiche, ma solo da persone poco intelligenti. Vedi Gloria, siamo
proiettati nel futuro, dobbiamo pensare a guardare avanti. Il cinema GLBT, come lo psicodramma, è alla portata di tutti, quindi perché non renderlo più interattivo ed efficace?” Comunque il mio didatta era entusiasta e mi ha molto incoraggiato.”
“Bene. Torniamo allo psicodramma. Di solito i gruppi non sono così
specializzati, vero?”
“Infatti. Di solito i gruppi sono molto eterogenei. Ci può essere
un tema che accomuna i pazienti come nella rassegna che ti ho appena
menzionato e difficilmente si conoscono prima della sessione di
psicodramma. Il legame cresce col tempo.”
“E dimmi, Francesco: chi può usufruire dello psicodramma? Solo adulti molto intelligenti?”
“L’intelligenza non è obbligatoria. Ma scegliere lo psicodramma è una cosa intelligente!”
Ho risposto un po’ da stronzo come avrebbe fatto il mio didatta e ora mi godo gli occhi sempre più grandi dell’intervistatrice.
“Tu sei molto spiritoso, Francesco, ma non ci resta molto tempo. Peccato.”
“Peccato, sì.”
“Andiamo avanti sull’efficacia.”
“Va bene.”
“Che ci puoi dire in sintesi per i nostri ascoltatori?”
“Direi che lo psicodramma è efficace per tutti, dai bambini agli
anziani. Non c’è una fascia d’età specifica. È nato per tutti ed è
alla portata di tutti. All’inizio, a Vienna negli anni Venti del
Novecento, Moreno lo faceva coi bambini…”
“Bambini?”
“Ma anche con le prostitute.”
“Ah ecco. Già. Democratico. Capisco che vuoi dire. Per tutti insomma. Riflettendo su quel che mi hai spiegato, ho una perplessità.”
“Sentiamo.”
“Questa tecnica si svolge in gruppo. Quindi nello studio con un solo paziente è impossibile da fare.”
Decido di esagerare.
“Abbiamo ovviato a questo problema già nel 1995.”
“Davvero! Che bravi.”
“Uno psicodrammatista italiano ha messo a punto ‘La Scacchiera’, una tecnica derivata dal gioco della sabbia di Dora Kalff, che è una
terapeuta junghiana. Questa tecnica consente al paziente di rappresentare su una scacchiera i personaggi di cui parla, utilizzando action figures cioè pupazzetti presenti nello studio, un aiuto a sé e al terapeuta. Così il paziente ha modo di osservarsi dall’esterno”.
“È incredibile! Davvero interessantissimo! Grazie. Allora invitotutti gli ascoltatori interessati a contattare il dottor Marzano che ricordiamo si trova…; a visitare la sua pagina facebook dr. Francesco Marzano psicologo e psicoterapeuta e il sito di PLAYS-IPOD Istituto di Psicodramma ad Orientamento Dinamico di Roma www.plays.it. Ringrazio il dottor Marzano e restate sintonizzati con noi.”
Parte la musica. Mi tolgo le cuffie e Gloria mi ringrazia. La ragazza promoter mi riviene incontro ondeggiante in tutto, come la sua lunga chioma.
“Allora, tutto bene? Hai ancora qualche domanda? L’intervista verrà trasmessa tra 2-3 settimane. Le migliori saranno poi successivamente ampliate all’interno di una rubrica. Quindi ti ricontatteremo. È stato un piacere. Ciao.”
Mi saluta senza neanche ascoltare la mia risposta.